Le Vie dei Canti (Opere di Bruce Chatwin) (Italian Edition) by Bruce Chatwin

Le Vie dei Canti (Opere di Bruce Chatwin) (Italian Edition) by Bruce Chatwin

autore:Bruce Chatwin
La lingua: ita
Format: mobi, epub
Tags: Letteratura inglese - Narrativa
ISBN: 9788845911415
editore: Adelphi
pubblicato: 1987-03-25T23:00:00+00:00


Capitolo 29

Titus Tjilkamata, l’uomo che Arkady era venuto a trovare, abitava quaranta chilometri a sud-ovest del campo di Cullen, in una casupola accanto a una polla d’acqua.

Dicevano che era d’umor nero, tanto che Arkady, il quale si stava facendo forza per affrontarlo, mi consigliò di rimanere al campo finché lui non avesse verificato che aria tirava. Si era procurato l’appoggio del ‘direttore’ di Titus, un uomo zoppo e cordiale soprannominato ‘Limpy’. Alle nove partirono insieme sulla Land Cruiser.

Era una giornata molto calda e ventosa, con il cielo solcato dagli scarabocchi dei cirri. Andai al dispensario; il tetto faceva un baccano assordante.

«L’hanno già riparato una volta» urlò Estrella. «Duemila dollari, han voluto! Figurati!». Era una donna giovane e minuta con una faccia molto spiritosa.

Mi arrampicai su a ispezionare il danno. Il lavoro era stato fatto malamente. Tutte le travi del tetto erano pericolanti: in un futuro non imprevedibile il tetto sarebbe crollato.

Estrella mi mandò a chiedere martello e chiodi appositi a Don, il responsabile delle manutenzioni. «È un lavoro che non ti riguarda» mi disse lui. «Non riguarda né te né me».

Il lavoro l’aveva fatto un «artigiano stronzo» di Alice.

«Comunque» dissi in tono scherzoso «questo non rende le cose meno rischiose per una certa suora suicida; e se vola via un pezzo di lamiera e taglia in due un bambino?».

Don cedette brontolando e mi diede tutti i chiodi che aveva. Passai un paio d’ore a inchiodare le lamiere col martello e quando terminai il lavoro Estrella approvò sorridendo.

«Almeno posso sentirmi pensare» disse.

Andai a restituire il martello, e al ritorno mi fermai all’emporio per cercare Rolf.

Lì vicino, dietro una filza di bidoni vuoti disposti in cerchio che li riparava dal vento, uomini e donne giocavano a poker con poste molto alte. Un uomo aveva perso 1.400 dollari ed era rassegnato a perdere ancora. La vincitrice, una gigantessa con una maglia gialla, sbatteva le carte sul telone con l’espressione famelica e la bocca semiaperta tipiche delle signore al Casinò.

Rolf stava ancora leggendo Proust. Aveva lasciato il ricevimento della duchessa di Guermantes e stava seguendo il barone di Charlus lungo le strade che conducevano a casa sua. Aveva un thermos di caffè che divise con me.

«C’è qui qualcuno che dovresti conoscere» disse.

Diede una caramella a un ragazzino e gli disse di correre a chiamare Joshua. Circa dieci minuti dopo comparve sulla soglia un uomo di mezz’età, tutto gambe e poco altro, con la pelle molto scura e un cappello nero da cowboy.

«Ah!» disse Rolf. «John Wayne in persona».

L’aborigeno lo salutò parlando con un pastoso accento americano.

«Senti, vecchio scroccone, questo è un mio amico inglese. Voglio che tu gli parli dei Sogni».

«D’accordo» rispose lui.

Joshua era un famoso danzatore e mimo pintupi su cui si poteva sempre contare per un bello spettacolo. Si era esibito in Europa e negli Stati Uniti. La prima volta che era atterrato a Sydney, scambiando le luci a terra per le stelle, aveva domandato come mai l’aeroplano volasse capovolto.

Lo seguii a casa sua per un sentiero che serpeggiava tra i ciuffi di spinifex.



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